Gli amici di Rosalba che giocano "anche" a Bridge
Ti voglio con me per sempre. di MIRELLA DEW
Era una struttura futurista. Ampia, luminosa. Cristalli e acciaio. Piccoli banchi disseminati qua e là, fra giocattoli, case di bambole, castelli di cartone. Pareti decorate; in basso con impronte di minuscole mani e ingenui disegni di bimbo; più in alto con quelli più elaborati degli insegnanti. Il soffitto era dipinto come un universo in miniatura: sole, luna, stelle, pianeti.
Al di là delle grandi vetrate, sotto un pallido cielo azzurro, la primavera sbocciava in una cascata di colori e profumi. Per essere il posto che era, certamente era il migliore che si potesse desiderare. In Italia almeno, che io sappia.
E sembrava una giornata perfetta.
Eppure, dietro la vetrata che divideva la sala riunioni dalla zona bimbi, un gruppo di adulti osservava i piccoli con volti assai preoccupati.
Come aveva potuto il piccolo Tommy svanire nel nulla ?
Sul suo banco vuoto ancora i pastelli del giorno prima, un disegno lasciato a metà, alcuni ritagli di cartoncino colorato.
Tommaso era un bambino tranquillo, serio, riflessivo, assennato. Forse troppo assennato per i suoi quattro anni. Non si univa quasi mai spontaneamente ai giochi dei compagni. Per la sua indole matura, le maestre spesso lo affiancavano ai bimbi più piccoli e più timidi che lo adoravano. Un incarico a cui Tommy si dedicava con un impegno commovente. I piccoli infatti, quella mattina che lui non c’era, si sentivano perduti. Non facevano che guardare la porta e il suo banco vuoto.
Si chiamava “Casa della Luce”, in realtà era una casa accoglienza per bambini abbandonati, orfani o tolti a genitori che ne avevano abusato. Alcuni di essi erano già idonei per l’adozione.
Anche Tommaso era già stato in dato affidamento ad alcune famiglie. Ma lo avevano sempre riportato indietro. Era bravo, dicevano. Perfino troppo. Ma c’era quella linea di tristezza che traversava i suoi grandi occhi scuri e che metteva a disagio chiunque lo guardasse.
Era un bimbo strano, malinconico. Terribilmente solo, ma di una solitudine quasi stranamente scelta. A volte guardava fuori, lontano, per lunghi momenti. Fra gli alberi e oltre l’alta siepe di recinzione. “Cosa guardi Tommy?” gli chiedevano le maestre. "Nulla” rispondeva lui. “Cosa pensi allora?” e lui reclinava la cascata di riccioli neri con un sorriso “Nulla”.
“Come mai un luminare dell’ingegneria genetica si mescola alla bassa manovalanza medica ? Agli insegnanti del nido ?” Davide Ferrari faceva le spallucce con risposte evasive…… “Un parere diverso può fare comodo”
Non gradiva lo spirito con cui queste domande gli venivano poste e queste battute lo ferivano sempre profondamente. Ma come poteva Davide spiegare loro che, dopo dieci anni di vetrini e provette, sentiva il bisogno di calore, voci, sentimenti ?
Come poteva dire loro che la morte improvvisa e prematura di sua madre, suo faro e suo pilastro da quando aveva aperto gli occhi al mondo, lo aveva gettato nella disperazione ?
E che aveva pensato, per la prima volta in vita sua, all’anima come unico appiglio contro il nulla della morte ?
Non poteva pensare a lei come a una cosa abbandonata nel ventre della terra. Privata della sua intelligenza, della sua immensa capacità di amare, della sua passione per la vita, della sua incantevole ironia.
Il piccolo Tommy , dal suo banco, lo osservava senza dire nulla, ma nella sua innocenza pareva capisse tutto. “Io lo so….”, sembravano dire i suoi occhi. “Io ho visto e sentito tutto…”.
Da quando aveva lasciato le sperimentazioni di laboratorio, Davide si era dedicato all’osservazione di soggetti, ciascuno a modo loro, atipici. E Tommy era certamente, assolutamente atipico. Non lo aveva mai visto ridere o piangere, entusiasmarsi o incollerirsi. Era sempre misurato. Parlava poco e quasi esclusivamente con i piccoli; per insegnare loro come tenere le matite, o come bere il latte senza sporcarsi. Piccole grandi cose così.
Aveva anche imparato ad allacciarsi le scarpe come gli aveva insegnato la Marta, tenendolo seduto in grembo “Nodo semplice…, anello grande dentro anello piccolo…, tirare…”. Era uno dei pochi a saperlo fare nella sua sezione e ne andava fiero.
Viveva in un mondo tutto suo, ma cosa c’era in questo suo mondo ? Cosa vedeva quando guardava al di là delle fronde degli alberi ?
Un giorno in cui i bimbi giocavano in giardino, Tommy si era avvicinato al muro di cinta. Ed era rimasto lì in ascolto. Assorto, quasi rapito. Quando la maestra gli si era avvicinata le aveva detto che c’era una bambina dall’altra parte del muro. Danzava scalza nell’erba e chiamava il suo nome.
“Ma chi è, la conosci ?” chiese lei “Forse…”
La maestra aprì il pesante cancello di ferro battuto, inghirlandato di rampicanti e piccoli fiori azzurri e camminò con lui per qualche minuto verso il bosco.
Vedi” disse, “Non c’è nessuno qua fuori, tanto meno una bambina tutta sola” “Oh sì” disse Tommy “Lei è qui, è dappertutto… E mi chiama…” “E perché ti chiama?” “Perché ha paura che mi portino via ancora” “Chi dovrebbe portarti via?” “Le mamme finte”
Era rimasta turbata da quelle parole. Tommy non era un bimbo da inventarsi cose per attirare l’attenzione su di sé e alla prima occasione ne aveva parlato ai colleghi. Solo Davide tuttavia ne era rimasto colpito e fu proprio allora che prese a cuore il bambino.
“Intendi forse dire che la scomparsa del piccolo potrebbe essere spiegata in qualche modo dal suo DNA?” “Chi può dirlo?” La solita domanda banale che lo infastidiva, ma Davide non gli aveva dato peso.
Entrò nella sala giochi, si sedette sulla piccola sedia di Tommy e guardò fuori, oltre gli alberi e la siepe. Cercò di ascoltare i suoni portati dal vento. Chiuse gli occhi e tornò con la memoria alla sua prima infanzia. Ma non funzionava.
Troppo diversa la sua vita di bimbo da quella di Tommy. I suoi fratellini lo coinvolgevano in mille giochi, sotto lo sguardo amorevole e attento di mamma e nonni. E anche di papà quando c’era. Un’infanzia piena, felice. Fortunata. Non c’erano silenzi, né spazi disponibili per bambine immaginarie che cantavano nel vento.
Il parco dentro la Casa della Luce e il bosco che la circondava erano già stati perlustrati dal personale e dai carabinieri. E peraltro le ricerche erano ancora in corso. Solo che loro non avevano dato peso alla storia della bambina. Come dargli torto.
Davide varcò il pesante cancello e raggiunse la radura dove Tommy aveva sentito chiamare il suo nome.
Senza una ragione precisa aveva portato con sé la cartella clinica del piccolo. L’aveva ricevuta in visione quella stessa mattina, ma non aveva avuto il tempo di leggerla.
Incrociò un ruscello, era fresco, limpido e gorgogliante fra larghe pietre e piccoli gorghi. Nella mente fantasiosa di Tommy avrebbe potuto quel suono passare per la voce di una bimba ? Chissà !
Decise di seguirne il corso. I poliziotti non avevano trovato tracce sulle sue sponde, certo era possibile che Tommy ci avesse camminato dentro, magari saltando da una pietra all’altra. Ma la rugiada della notte aveva coperto ogni cosa col suo velo lucente.
La vegetazione diventava via via più fitta, solo piccoli sprazzi di sole, là dove riuscivano ad aprirsi un varco fra i rami folti degli alberi. Il ruscello compì una svolta brusca, gettandosi in una piccola pozza circondata da rampicanti e cespugli di biancospino. Il profumo era così intenso da far girare la testa.
Davide era stanco, scoraggiato, non aveva idea di quanto a lungo avesse camminato. Eppure sentiva qualcosa. Un senso di pericolo incombente. Una sensazione, un lampo, una nota anomala. Si sentiva soffocare dalla paura…., qualunque cosa fosse era lì.
Sì, il suo inconscio aveva percepito qualcosa. Qualcosa che non faceva parte della natura. Qualcosa di giallo.
Si impose una calma che in quel momento proprio non gli apparteneva e scandagliò di nuovo il laghetto con occhi attentissimi, palmo a palmo.
Sotto una cascata di edera, appena sopra il filo dell’acqua, dondolava una scarpina da ginnastica. Gialla.
Davide, col cuore come uno stantuffo impazzito, si lanciò lungo il pendio scivoloso. Cadde e si rialzò. Ancora, ancora e ancora, pareva una statua di fango. Scostò i lunghi fili di edera….. Tommy era lì, raggomitolato in una nicchia.
Non si soffermò a controllare se fosse ancora vivo, lo strofinò energicamente, lo avvolse nel suo maglione e arrancò in qualche modo lungo l’argine viscido. Scivolando e imprecando.
Dopo un tempo che gli parve infinito arrivò sulla sommità e lo posò delicatamente in un punto del manto erboso miracolosamente scaldato da un raggio di sole.
Mentre lo asciugava e lo massaggiava il suo sguardo cadde su un foglio fra tanti, uscito dalla cartella che aveva lasciato cadere prima di precipitarsi lungo il pendio. Gli anonimi freddi appunti parlavano della sua breve vita.
Nato alle 5.35 del 3 Aprile, maschio, bianco, sano, peso Kg. 2,600
La sua sorellina gemella, nata dopo 3 minuti, presentava gravissimi problemi respiratori. Deceduta alle 17.00 di quello stesso giorno.
Le guance di Tommy stavano lentamente prendendo colore. Davide lo strinse forte a sé, un po’ per scaldarlo, un po’ per la gioia di averlo ritrovato vivo.
Solo allora si accorse di qualcosa di rosa che spuntava dal suo piccolo pugno chiuso. Lo aprì delicatamente sollevando un dito alla volta. Era una piccolissima scarpina da neonata.
Guardò in cielo. Oltre gli alberi, oltre il sole, oltre l’infinito. E sussurrò nel vento “Questo non è amore piccola…. questo non è il suo destino….devi lasciarlo libero.”
E il vento per un attimo sembrò fermarsi, le fronde degli alberi smisero di fremere e gli uccelli di cantare.
E fu allora che lui udì un suono lungo, straziante e sommesso, simile a un pianto che andava a spegnersi lontano.
Mirella
IL PACCO DALL’AMERICA da PALIDORI
Era passata da poco la guerra ed io fanciullo, avevo percepito pochi eventi di
quell’enorme tragedia.
Mi passano davanti agli occhi come in un film alcuni ricordi:
una jeep americana con alcuni soldati che vedendo un gruppo di bambini lungo
la strada lancia al loro indirizzo caramelle, cioccolata e gomma da masticare ed io,
che non becco nulla, essendo fra i più piccoli e quello dotato, rispetto agli altri, di
“buone maniere”;
i bagliori, belli ai miei occhi perché simili a una sorta di gioco pirotecnico,
causati dal bombardamento di Marsala effettuato perché gli alleati credono che lì
ci sia la volpe del deserto il Fjeld Maresciallo Rommel, notizia rivelatasi non vera,
ma che causa la distruzione di gran parte della città e migliaia di vittime;
Il Tenente Quartarone che comanda un piccolo presidio militare a Guidaloca (una
località marina vicina la più nota Scopello) e mio fratello, più piccolo di me, tenuto
in braccio dal malcapitato Tenente, che ha un momento di gloria e di
partecipazione bellica, (probabilmente come agente del nemico) giacché fa la pipì
nella tasca della splendida divisa di quell’ufficiale;
e mio padre che torna da Palermo zoppicando perché finito sotto un
bombardamento e che, a dimostrazione della fortuna che aveva avuto,
esibisce con malcelato orgoglio una scheggia di bomba “nemica” che, a suo dire,
gli si era adagiata sul fianco.
Poi, come i più anziani sanno, comincia la grande solidarietà dell’America e tutti
i figli di Sicilia che erano lì migrati in cerca di fortuna, spediscono ai parenti
della martoriata Italia pacchi con le cose più svariate.
Noi avevamo in America una cugina di mamma la zia Angelina Mare (non era
questo il vero cognome lo cambiò perché il suo, più complicato, era
impronunciabile in Inglese).
Anche la zia Angelina sente il dovere di spedirci un pacco. No che noi ne avessimo
particolare bisogno ma tant’è.
Il commento di mia madre alla vista di quel pacco è: “ma che si credono questi che
noi abbiamo bisogno della loro elemosina”?
Io e mio fratello, come immaginerete, siamo invece curiosissimi di vedere cosa
ci mandasse dall’America quella zia che nemmeno conoscevamo.
Si apre il pacco e tra i commenti “coloriti” di mia madre alla vista di abiti smessi,
lenzuola di tela che sembrava plastificata e altre cose inutili, io e mio fratello
siamo attirati da un oggetto sconosciuto per noi: uno strano oggetto a spicchi di
cuoio e gomma che poteva essere un pallone se non avesse avuto una strana
forma ovale.
Ci passiamo tra le mani quello strano oggetto senza riuscire a capire a cosa
potesse servire.
Ce ne impossessiamo e usciamo in strada, provando a dargli qualche calcio, ma
quella palla salta in modo assurdo assumendo delle traiettorie pazzesche.
Rientriamo a casa delusi, con i musi lunghi, e con nelle mani quell’oggetto
misterioso.
Mia madre, accortasi della profonda delusione provata dai suoi bambini, evita di
fare commenti.
Avevamo dimenticato quell’episodio e i pacchi dall’America quando la zia Angelina
ci fa il regalo di un secondo pacco.
Figuratevi se noi, dopo quel tremendo sconforto patito, mostrassimo interesse per
il suo contenuto.
Io e mio fratello appartati, sbirciamo con infantile curiosità quando vediamo
uscire, come la “sorpresa” da un uovo di Pasqua, un pallone, un pallone vero che
mia madre, con uno sguardo tra il malizioso e il compiaciuto (perché doveva essere
stata Lei l’autrice di quella “correzione”), teneva in mano mostrandocelo.
Corriamo a prenderlo. Non è un pallone da football ma da Basket, ma è
magnifico,ha pure la valvola per poterlo gonfiare.
Corriamo in strada. Giochiamo, corteggiati come se possedessimo un tesoro,
dagli altri ragazzini meno fortunati di noi fino a quando si fa buio ignorando le
grida di mia madre che minaccia di rispedire quel dono di Dio in America.
L’America ci aveva donato un oggetto che ci diede un potere grande nei confronti
degli altri ragazzini poiché, mio fratello, con piglio da Boss, decideva chi
dovesse giocare e chi no.
Mentre mia madre, di contro, si disperava moltissimo perché quelle scarpe che
indossavamo, fatte di cuoio “bellico”, duravano pochissimo se destinate a scopi
lontani da quello per cui erano state fatte: camminare con “delicatezza”.
PALIDORI
Elogio della gelosia da AMMIRAGLIO
L’altra sera all’improvviso ho realizzato, leggendo l’ennesima chat, di essere sistematicamente accusato di gelosia. La mia prima reazione ? Ho scosso la testa, ho sorriso: assurdo.
So bene che i motivi dei ripetuti dissapori con la mia partner hanno altre motivazioni. Ad una effettiva caduta di sintonia, si sono accompagnati da parte sua comportamenti al tavolo molto disinvolti. Troppo per un vecchio polemico - e bacchettone - come me.
Ma l’accusa è stata reiterata, con convinzione.
Ma...... e se fosse vera ? E se avesse un fondamento ? Ribaltando un vecchio detto popolare potrei dire: improbabile, ma non impossibile.
Il pensiero mi ha fulminato.
E nella mia mente il quesito ha cominciato ad assumere una valenza scientifica. Cosa è in realtà la gelosia ? Di certo un sentimento. Uno stato d’animo considerato riprovevole dalla generalità della società civile. Addirittura condannato e disprezzato da quella che ama definirsi la società avanzata. Insomma uno stato d’animo da sottosviluppato, da incivile.
In altre parole, parafrasando il Celentano di qualche anno fa, potremmo dire che la gelosia non è rock. Ma allora la gelosia, in tutta la gamma delle sue manifestazioni, è un sentimento da rimuovere, da nascondere ? Di cui vergognarsi ?
Ma ancora, se Erasmo da Rotterdam ha scritto l’ Elogio della pazzia, perché Paolo da Gallarate non deve scrivere l’ Elogio della gelosia ? E magari dedicarlo, moderno madrigale, a donna Rosalba da Roma ? A donna Mirella da Milano ? Perché no ?.
Certo non è facile, perché la condanna della gelosia si perde nella notte dei tempi. La gelosia è strettamente connessa all’amore ma anche, all’estremo opposto, all’invidia. Ed è stata proprio l’invidia per l’immortalità di Dio che ha indotto Eva ad accettare la famosa mela, causa prima dei suoi (e dei nostri….) tanti guai.
Dopo di che la dottrina della Chiesa non ci ha messo molto a piazzare l’invidia fra i sette vizi capitali, anche se vien da pensare – vista l’epoca – che si volesse soprattutto condannare l’invidia verso certi venali benefici del clero.
E da allora la storia dell’uomo è stata costellata da eventi, comportamenti che sul binomio gelosia-invidia hanno causati tragedie a non finire. Certo anche il melodramma ha contribuito e Verdi (non per nulla un romagnolo) ha una grossa responsabilità in proposito. Il suo Otello può essere preso a modello di riferimento della condanna della gelosia, con risvolti addirittura lombrosiani.
Ma da sempre cantastorie e menestrelli, teatro e cinema sono stati fonti e palestre inesauribili di drammi e psicodrammi, tutti di severa condanna per la gelosia.
E’ vero, ogni tanto l’angolazione è diversa, ironica, addirittura grottesca. Come nel divertente Divorzio all’italiana dove il falso geloso – apparente vincitore – risulta in realtà sconfitto in una surreale catena di tradimenti.
Ma, abbiamo detto all’inizio, la gelosia è un sentimento e può un sentimento – e cioè una espressione dell’animo dell’uomo – essere per definizione un paradigma negativo ?
Assolutamente no, ci mancherebbe !
Se ripensiamo alla tenera, sofferta, segreta gelosia della dolce studentessa del Tempo delle mele, proviamo solo grande tenerezza, partecipazione. E se ripensiamo ai nostri lontani anni di liceo, quanto tempo delle mele ritroviamo ? Tanto, per fortuna. Allora ci faceva soffrire. Oggi invece ricordiamo con rimpianto e tenerezza quelle sofferenze.
Ma ancora, per riprendere il filone classico, quanta gelosia agitava l’animo di Cirano quando, in rispetto ai suoi principi di lealtà e amicizia, aiutava l’inconsapevole rivale nei suoi corteggiamenti ? Una gelosia sottile, forse appena percepita, forse volutamente repressa. Poi la storia cambia, ha il solito lieto/triste epilogo e il fine poeta conquista, quasi suo malgrado, la bella Rossana. Ma, a ripensarci, non ci appare quasi più simpatico il primo Cirano, l’audace spadaccino, ma sofferto, segreto amante ?
La conclusione allora è che la gelosia, proprio in quanto espressione di uno stato d’animo, non può essere per principio definita un sentimento riprovevole, da denigrare e condannare. Sono i comportamenti successivi dell’uomo che a volte – ma solo a volte – sono da valutare e condannare.
E poi lo stesso binomio gelosia-invidia non può essere condannato per principio, per definizione. Non è detto che generi per sua natura comportamenti disdicevoli, ma anzi sia spesso il motore, la spinta per un impegno positivo, per migliorarsi, crescere, affermarsi.
Se vogliamo, in tutta la storia dell’evoluzione dell’uomo è presente questa spinta a fare, cercare, migliorare. E quindi anche la capacità di essere gelosi è stata una delle carte vincenti che hanno agito sulla nostra di evoluzione.
In conclusione, la prossima volta che sarete accusati di essere gelosi, non reagite con frasi del tipo “...geloso io ? ma che dici ! ”. Rispondete piuttosto, con un sorriso: “..si è vero, che c’è di male ? ”.
Questa notte 6 aprile 2009, ho fatto un brutto sogno. Ero giovane, studente universitario e, come spesso facevo a quei tempi, percorrevo a piedi, dalla fontana delle 99 cannelle attraverso via Fontesecco e via XX Settembre quei vicoli stretti e in salita, che portano alla Prefettura, per giungere, poi, in corso Federico II e, infine in Piazza Duomo: Che spettacolo! Che brulichio di gente! Bancarelle variopinte ricolme di frutta al centro e, a sinistra, guardando S. Massimo, le Anime Sante, antichissime chiese. A destra, iniziano i portici. Davanti a me i due uomini bronzei, nudi, da sempre custodi delle due fontane con bordi circolari alla base.
Proseguo fino ai quattro cantoni – il quadrivio- e mi porto sulla gradinata del sagrato di San Bernardino. Qualcosa non va, mentre osservo la cupola. E’ dimezzata, è danneggiata, così come lo era pure quella delle Anime Sante! Cosa mai sarà accaduto? Cosa mai sarà stato? Inizio ad avere un po’ di paura!
Il timore mi prende. Torno indietro e passo di nuovo davanti al Palazzo della Prefettura. La sede del governo è decapitata; sulla piazza antistante vi son solo detriti, calcinacci, pezzi di legno e mattoni! Velocemente proseguo lungo Via XX settembre, per recarmi alla Stazione dei Treni e prendere a ‘’volo’’ la corriera per Roio. Appena giunto davanti al palazzo dell’Anas odo grida e lamenti, prima forti e poi lenti, provenire dagli appartamenti di quel palazzo a più piani. «È la casa degli studenti» mi dice un passante.
È inclinata su un fianco e pure schiacciata! Ma non è stata costruita più di recente rispetto agli altri palazzi che hanno ceduto? Resto per un attimo attonito e muto. La scena si anima: vigili del fuoco, volontari, forestali, infermieri, ambulanze, escavatori, gru, sono lì, indaffarati, per cercare, per parlare, per salvare, per costatare i danni. Alcuni di loro, purtroppo, sono estratti.
Ma privi di vita. Ed erano pur giovani! E pieni di aspettative. Proseguo, rattristato, il noto cammino. Ecco arrivare l’autobus. salgo, mi siedo e mi metto a pensare. Allora se l’Aquila è così, cosa mai sarà accaduto a Roio, al Poggio, a Colle, a Santa Rufina, a tutta la conca aquilana contornata di paesi e frazioni con case più vecchie e non certo costruite con ferro e cemento, ma – ahimè - soltanto con bianca e levigata pietra?
L’ansia mi assale, il cuore mi batte più forte. Penso a Cassandra, colei che prevedeva misfatti. Ormai qui tutto è compiuto! Tutto e’ già fatto! Siamo al bivio di S. Rufina.
C’è qualcuno che chiede aiuto. Non per sé, ma per un anziano che è rimasto intrappolato sotto una trave di legno caduta dal tetto.
Un suo compaesano scende di fretta e lo segue, contento di essere utile per salvare una vita, che il fato vorrebbe a tutti costi strappare ai suoi cari.
Ed ecco apparire Rojo Piano, il mio paese natio. Non è ben visibile, poiché un gran polverone s’innalza nascondendo allo sguardo tutte - a me note- case del centro. Sarà per caso scoppiato un incendio? – mi domando-. Non vedo l’ora di scendere dal mezzo per rendermi conto, personalmente, dell’accaduto. Tutto è silenzio, per un minuto.
Poi d’improvviso, un grido lacera l’aria pesante: «France’, professò, Tuninu ju scàrparu e Sonia la figlia, so’ remasti sotto le macere della casa, a Pèe Roji, doppo che c’è stata la scossa de tarramutu. Eran le tre e mezza e quacche minutu».
Penso subito a zia Elda, ad Aurora e alle case di zia Roscia e zia Daria, case di antica e semplice costruzione. Avranno retto a quell’immane forza di distruzione? Le care vecchine saranno ancora vive? Che gioia quando chiamandole per nome, una ad una, ottengo una risposta: «Francè, sò viva!».
Loro ce l’hanno fatta, altre de l’Aquila e del circondario, purtroppo, no! Le loro abitazioni ,tuttavia, come tante saranno inservibili per diverso tempo. E, allora, come verranno sistemate nel frattempo? Come tutti coloro che son rimasti privi di un sicuro e familiare rifugio.
E dovranno andare, senza indugio, chi presso parenti più fortunati, chi in alberghi in riva al mare e chi nelle tendopoli allestite qua e là in ampie aree, ma fuori città. Sono le ore sei del mattino e sono sveglio, come mi accade - ormai - da quando non insegno più.
Mi preparo un buon caffè ed accendo la tivù. Le notizie che scorrono sullo schermo mi sconvolgono. Dunque, quelle scosse che ho percepito e il resto non sono stati affatto un sogno! Ho la conferma che tutto e’ vero! Purtroppo!
A te, o L’Aquila, la ria natura ha voluto d’improvviso tarpare le ali, per metterti alla prova e per vedere se sei ancora capace di risorgere dalle macerie provocate anche dall’uomo, che non sempre ha scelto l’onestà come suo cavallo di battaglia! Se riuscita sempre, nel corso dei secoli, a superare ogni sventura. E pure ora ce la farai, anche alla tanta solidarietà che da ogni regione di’Italia i connazionali stanno dimostrando. E nuovamente dalla polvere di rialzerai e ti solleverai. E sulle pietre mai più inciamperai.
Francesco Totani
Lettera aperta
All’Eccellentissimo Creatore del Cielo e della terra….
Non so se sia la formula più deferente per rivolgermi a Lei , Onnipotente , ma Le confesso che è la prima volta che mi permetto di rivolgermi tanto in “alto”!
Inoltre, non credo sia la procedura corretta quella di avvalersi di questo “sito” come ufficio postale per inoltrare una lettera “prioritaria” a Lei.
Ma non conosco altri recapiti affidabili!
Dunque, volevo ringraziarla innanzitutto per tutte le cose belle che ha fatto sulla terra .
Ne ha fatte tante e bene e questa non è adulazione o piaggeria, mi creda.
Ho avuto occasione nella mia vita di ammirare molti paesaggi belli , bellissimi , complimenti sinceri !
Ma dopo molti spettacolari monumenti artistici naturali , mi viene spontanea una domanda: ma come è sbocciata nella Sua mente l’idea di programmare e realizzare il Suo capolavoro proprio nell’Alta Pusteria?
Io una supposizione l’avrei ma non so se posso arrischiarmi ad esporla.
Premetto che è una ipotesi semplice, ingenua e forse anche banale.
Credo che Lei abbia le idee molto chiare (scusi l’ardire nel giudicare il Suo operato) e nella Sua mente intende forse “rinnovare l’umanità” in questo momento in cui gli esseri umani si stanno autodistruggendo irresponsabilmente .
Allora ha mandato i Suoi “osservatori”per studiare il luogo migliore per ricominciare un nuovo “Creato” che inizia sempre con il “Paradiso terrestre” luogo di delizia , di felicità, di pace e di bellezza per collocare ancora una volta la nuova Umanità.
I Suoi incaricati hanno visitato in lungo e largo la terra e si sono imbattuti in questa zona alpina.
Hanno visto la Meridiana di Sesto, la più grande e più bella del mondo , e non hanno avuto dubbi!
Si sono guardati intorno e hanno visto quel cielo azzurro, limpido, dolomitico, quei “balconi naturali” che espongono la val Fiscalina , di landro di Brailes , quelle cime maestose , quei laghi cristallini, quei verdi prati silenziosi il cui silenzio è rotto solo dai rintocchi delle campane e dallo sciacquio dei ruscelli ed hanno sentenziato : “Qui sorgerà il futuro Eden”
E Lei , Onnipotente , ha dato il benestare .
A questo punto non voglio fare polemiche , Eccellentissimo Signore, ma una cosa devo proprio dirgliela: non erano necessari tanti esperti in veste di “esploratori” per scoprire questo incantevole paesaggio : bastava chiederlo a chi frequenta queste località o a ME che le ammiro e passo questi pochi giorni in contemplazione di queste meraviglie riscoprendo il valore della vera bellezza , la gioia e la commozione che mi viene dalla visione di un piccolissimo fiore dai colori intensissimi, dalle farfalle variopinte , dal sognante vagare delle nubi per il cielo, dalla spettacolare vista panoramica a 360° sulle vette più alte, dove sembra che il mondo sia ai nostri piedi e ci si tuffa in un mondo straordinariamente armonico che migliora la salute , il benessere , l’armonia con se stessi.
meditazioni estive........
Solitudine
Ho vestito la solitudine a festa,
agghindandola con fiocchi di ricordi.
L’ho buttata tra il turbinio della gente,
alla ricerca di antiche emozioni.
A tutti mostrava un volto sorridente,
ma gli occhi celavano stille di pianto.
Rotola la sera
Quando rotola giù la sera
e nell’ oscurità m’ avvolgo
prendo tra le mani un sogno
che rischiari la triste notte
sino al sorgere del sole .
Scende la sera
Scende la sera ammantandosi di buio.
Vago per strade nell’ agitato traffico,
fiumi d’ umanità che indifferente corre,
mentre va logorandosi la mia esistenza
Rasento mura di palazzi che s’ ergono
fino quasi a toccar il cielo.
Cerco occhi indulgenti,
braccia che mi sorreggano
quando la notte eterna mi sorriderà
Verrà la sera
Verrà la sera. Ma sarà lieve
come l’onda che cancella orme
di piedi stanchi sulla battigia.
Verrà la sera. Ma sarà dolce
come soffio di vento che terge
gli occhi odorosi di lacrime
Verrà la sera. Ma sarà bella
come nuvole che cancellano
attese dipinte di sconfitte
Verrà la sera . Non sarà scura:
mille stelle bucano il cielo
schiarendo la morte di sollievo
Aggiornata l'ultima volta da Rosalba 6 Giu 2009.
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