Sicuramente nella vita si è attraversato una o più volte lo stato di lutto, anche se in forma lieve per la non vitale importanza della perdita (es.si è smarrito un oggetto per noi significativo; si è subito un furto; la fine della nostra infanzia, ecc.).
In tutte queste occasioni – ma soprattutto quando si tratta della morte di una persona cara – si ha la sensazione che qualcosa si rompe in te, si sente un senso di vuoto, si cerca l’isolamento per meditare sulla perdita, ma poi piano piano si scopre l’importanza di condividere con altri la propria sofferenza, altri per noi significativi o dai quali ti senti ascoltato.
Provi tristezza, piangi , i tuoi bisogni sembrano in un primo momento “congelati”
Ogni cambiamento è sofferenza, il lutto impone un cambiamento violento e indesiderato.
Quando la perdita è grave e inattesa, la prima reazione è quella dello shock, dello smarrimento, ti dici “no, non può essere vero, non posso crederci, non voglio crederci”;
e già, non “puoi” crederci perché la tua mente rifiuta una rottura improvvisa dello status quoaffettivo; non “vuoi” crederci perché “volere” è il primo passo che compiamo ogni volta che ci apprestiamo ad abbandonare uno stato di quiete vitale in cui non riusciamo più a soddisfare i nostri bisogni.
Di fronte alla perdita, “voglio crederci” è inaccettabile perché significa riconoscere la perdita, accettare il cambiamento duramente imposto da un incidente o da una malattia, e accettare il dramma esistenziale in cui si è scaraventati con la forza di un’onda gigantesca, mostruosa, severa.
Una volta una persona mi descrisse il suo vissuto di cordoglio con l’immagine dell’onda anomala che si abbatte improvvisamente sulla costa con forza devastante.
Ciò che provi in quel primo momento è simile a quello che sente una persona che riceve una diagnosi infausta o una brutta notizia: non può e non vuole crederci, oppure si arrabbia contro il destino o Dio chiedendo perché proprio a lui o a lei.
La mente è confusa, cerca di aggrapparsi al ricordo, alla “normalità” di ieri.
Si vorrebbero portare indietro le lancette dell’orologio, tornare a un giorno prima, a dieci anni prima. E allo stesso tempo si vorrebbe far correre il tempo per superare la pesantezza dei giorni del dolore, «il tempo guarirà le ferite», si dice, ma il tempo, il tuo tempo, ora sembra fermo, sembra appesantito, ti trattiene nel dolore.
Lo shock, per quanto drammatico ed emotivamente doloroso è solo la prima reazione, come il dolore acuto quando sbatti il gomito, come un lampo accecante, ma il tuono sta per arrivare.
Il tuono rappresenta metaforicamente le emozioni del momento e i sentimenti più duraturi: la tristezza, la rabbia, i sensi di colpa, la nostalgia, la scoperta del peso dell'assenza, il dolore per la ferita che sanguina, lo sconvolgimento di progetti legati alla persona perduta, la solitudine, i cambiamenti che si susseguono, l’assedio di problemi economici e burocratici, ecc.
Allora ti sembra di impazzire, di perdere il senno, vuoi morire, ti senti pesantemente assediato da tanti “mai più”, “fu”, “non c’è più”, “nulla sarà più come allora”, “non potrò più ascoltare la sua voce, toccare la sua pelle, sentire il suo profumo, “non potrò più fargli una domanda e ricevere le sue risposte”,
La negazione e l’assenza dilagano, sperimenti tutto il peso della irreversibilità. La morte è un’irruzione violenta, impudica, acefala, di negatività, di assenza assoluta e purissima.
Le emozioni che accompagnano la perdita non sono casuali, esse segnalano il bisogno della “presenza”: un contatto più intenso con te stesso, poi con le persone a te più care e infine con altri a cui confidare alcuni sentimenti o pensieri che per vari motivi non vuoi o non puoi condividere con le persone care.
Dopo lo shock ti aggrappi al passato, pensi a parole di affetto o di riconciliazione che avresti voluto rivolgere alla persona che non c’è più, e allora la cerchi nei ricordi, nella sua stanza, tra le foto, nei tuoi sogni.
Già, i sogni, ad essi non si sfugge, sono i messaggeri dello svolgersi del lutto, cioè uno sforzo che la mente fa per riportarsi in quota, una nuova quota, quella dell’accettazione, di un nuovo modo di essere.
Non ci sono “pillole” su cosa fare quando si è in lutto o per aiutare persone in lutto.
C’è solo una possibile direzione da seguire: guardare alle esperienze di perdita (a qualsiasi livello) a cui si ha reagito positivamente.
Cercare tutti i tunnel della vita che si sono imboccati e superati, tutte le volte che si è caduti e ci si è rialzati, tutte le volte che le lacrime hanno cessato di rigare il viso e il fazzoletto portato agli occhi è rimasto di volta in volta sempre più asciutto.
Ricordare come si è reagito, chiedersi cosa si voleva in quei momenti, o cosa non si voleva, quali sono state le scelte più importanti e lenitive che si sono fatte o che altri hanno fatto per noi.
Parlare con chi ispira fiducia e accoglie con calore, condividere le esperienze e fanne tesoro, in modo che il lutto non sia un nemico da combattere, ma un alleato, non lo squarcio della ferita, ma la crosticina che cadrà quando la ferita si sarà rimarginata.
Scoprire dentro il nettare da trasformare in miele per addolcire la sofferenza e quella di chi si incontrerà sulla via per impegno morale e per amore.
|